IL DELFINO E IL FETENTE
Portfolio di Giovanni Pastori, testo di Giacomo Berengo
Sorriso sghembo del pomeriggio, forse prima, le cose si addormentano, le tre. Troppo tardi e troppo presto, quel sorriso sghembo nel naso e poi giù; muta, piatta, bocca viola di lillà in marcia: sfioriranno. Scura, vuota, senza espressione; lascia che gli occhi scorrano piccoli. Non trovi profondità.
Mi manca, il cielo; si muove rosso e nero, s’arresta. Buio ma vero (o esatto?). Una, due birre. Le certose attendono serene che, nel pomeriggio, un arcobaleno venga a salvarle - chiedono pioggia e riflessi. Quattro, cinque, un vino; il telefono non serve a chiamare e si muove e vibra e lo sfondo con lui. Ho paura ad un certo momento (anche tu), dobbiamo abituarci (già sai).
La forma regale della sensibilità s’asciuga, diventa paesaggio, sempre più scuro, non c’è più spazio. Trema da sopra a sotto e ondeggia, forse meschino e superbo. Fa niente. Scandito, tremolante quasi, ecco, quasi - rotto.
Frantumi. Pietà nera nel viso - frantumi. Un contorno. Una riga.
Giù, a sequenze. “È nostro!” Ogni momento, tu gridi “è nostro”. Ma batti le ciglia e ogni momento ti scappa; lo apri, ti scappa; dividi, ti scappa; rincorri, ti scappa; bussi, tiri, lasci, corri, stendi, baci, fiori, botte, lunghe, mani, barba, sospiro - è scappato.
A pezzi, il volto scoperto s’illumina e io - ti sto prendendo in giro? Il bianco e gli spazi rovesci; i canali neri, un martello, la luce si spegne. Ritorna. Si spegne. Ancora, ritorna. Si spegne. E piange l’oceano in questa festa di ghirigori d’oro.
La luce nel corridoio che aiuta chi chiede, in fondo l’hai sempre pensato: chi scrive saggio muore giovane. O lo pensi già adesso, che muori distratto nell’onda che arriva - sei tu, a scatola chiusa, ci credi?
Dal mare la frusta di un grido:
– Sei biancovestito ?! – freme un delfino.
– Sì
– Sbottonati un po’! …
Con calma. Non si ringrazia mai abbastanza quel bianco, sereno pomeriggio che finisce con te. Sei la sua fine e ti stacchi contento e l’ombra continua più lunga - sei luce, sei luce e inizia la festa. Cadi. È iniziata la festa.
– Accidenti!
– Sbottonati, su!
– Noo, non voglio… (Facevo il decadente.)
E lui mi fa: – Oh oh oh oh! Non fare il fetente, sono curioso di vedere i colori.
S’avvicina, mi accerchia e sudo e piango il mio viso nero appeso a una stampa. Mi sbottono e con le due mani tengo aperta nel petto una gemma, come un martire che dica: “Colpitemi al petto!”. E pensa: “Io, io, io: che espressione disgustosa”.
E chi?
Si ripete la gemma e cadiamo, sbotta il delfino, si rompe la cassa, finisce la droga, tolgono i tappeti e cadiamo, cadiamo. Urlano elettrizzati e si ripetono, tra vittimismo irrealizzato e carte d’artisti - e tu devi insegnarmi come si sogna.