38 TFF – The Afghan Alphabet, di Mohsen Makhmalbaf (Masterclass)

Makhmalbaf filma la vita nei villaggi al confine tra Iran e Afghanistan e si domanda perché i bambini della zona non ricevano un’istruzione statale. In una scuola gestita dall’Unicef, incontra un gruppo di ragazze: una di loro si rifiuta di togliersi il burqa, nonostante sia fuggita dall'Afghanistan e dalla minaccia dei talebani. Ha più paura dell'orribile Dio che le hanno inculcato che dei talebani stessi. Straordinario documentario politico e militante, capace di spingere il governo iraniano ad aprire un programma educativo per i bambini afghani rifugiati in Iran.

Nazione: Iran, Anno: 2002, Durata: 45'


Nei villaggi di confine tra Afghanistan ed Iran, i bambini vivono in uno spazio liminale tra guerra (con i disastri che essa implica) e pace, ma anche tra analfabetismo e alfabetizzazione. Avere accesso ad un’istruzione adeguata è tutt’altro che scontato. Per padroneggiare la lingua, comprendendone la struttura fonematica, bisogna anzitutto essere schedati dal linguaggio burocratico, far parte del suo lessico: comprovare -linguisticamente- la propria esistenza attraverso un documento di identità. Come se il fondamento ontologico dell’esistenza consistesse nella sua schedatura scritta.

Nel mondo rappresentatoci da Makhmalbaf l’istruzione è da un lato un lusso che non tutti possono -burocraticamente- permettersi, dall’altro una caritatevole elargizione divina. Per molti, l’unico possibile accesso alla letteratura è costituito dal Corano. Folle invasate di bambini si riversano sulle copie delle scritture, leggono ad alta voce, in stato di ebbrezza. Quando gli si chiede cos’è Dio, chi è, perché gli piaccia, sono spaesati. La camera li interroga, fissandoli insistentemente. I loro occhi, come quelli di Renée Falconetti, vagano altrove. Da un lato, pare abbiano già raggiunto le vette del misticismo. Hanno compreso l’alterità del divino, la sua irriducibilità a parola, se non in un libro di cui lui stesso ha trasversalmente commissionato la realizzazione. Dall’altro, forse, a rapirli e condurli in uno stato di delirio estatico non è l’esperienza di Dio, ma quella a lungo anelata della scrittura, della contemplazione della lingua rappresentata graficamente.

La prima lezione che Makhmalbaf ci mostra (pur di scorcio, dall’esterno, seguendo il punto di vista di uno dei dropout impossibilitato ad accedere alla classe) riguarda l’utilizzo di spazzolino e dentifricio, e la necessità dell’igiene orale. L’oralità è carne, materia viva. Non è solo, astrattamente, lingua. È bocca, denti. I bambini bramano la conoscenza fisiologicamente, e non intellettualmente. La parola più spesso ripetuta durante The Afghan Alphabet è sicuramente «acqua» (آب [āb]). Un elemento essenziale, il cui nome viene ripetuto urlando, scuotendo il capo e sgranando gli occhi, in estasi. Makhmalbaf non si ferma a una didascalica denuncia politica, ma riesce a restituirci la primigenia e poderosa potenza del linguaggio, la sua capacità di pervadere e costituire il tessuto sociale, coagulandone i componenti in un organismo unico. Nessuno merita di essere escluso.

Niccolò Buttigliero

Vita low budget in campionato juniores. Vedere, scrivere, fare cinema - ut scandala eveniant.

Laureato al DAMS di Torino in Storia e teoria dell'attore teatrale con una tesi sul «progetto-ricerca Achilleide» di Carmelo Bene. Vive in un cinema e lavora in un teatro.

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