Cold Meridian, di Peter Strickland

I rituali ripetuti di una performer di autonomous sensory meridian response (ASMR) online e dei suoi spettatori.

Cold Meridian, diretto da Peter Strickland, Ungheria, Regno Unito, 2020, 7’

 

Ad animare Cold Meridian, ultimo cortometraggio di Peter Strickland, è un doppio movimento. O, meglio, un movimento frenetico, labirintico e irrisolvibile, che si poggia su un’immobilità inclusiva, che quel movimento esautora, privandolo di ogni capacità eversiva. A tale frizione tra dimensioni temporali antitetiche, ne corrisponde una tra le sfere sensoriali pertinenti il linguaggio adottato, ossia vista ed udito: la frenesia cinetica è delle immagini e delle relazioni che esse intrattengono le une con le altre; l’immobilità pacificante è invece propria dell’aspetto sonoro del film. Per la realizzazione di quest’ultimo (curata da Péter Terner) Strickland si riallaccia alle sperimentazioni soniche del precedente In Fabric (2018), facendo emergere con nuovo vigore la sua fascinazione per l’ASMR. Ma la voce della performer-(pseudo)narratrice del film (Dalma Wéninger) viene meno alla promessa di rilassare i propri spettatori nella misura in cui si staglia su un caotico e violento gioco di sguardi che è impossibile decifrare e che, con la sua carica enigmatica, inquieta. A essere problematica non è solo la direzionalità scopica, la comprensione di chi sia il soggetto guardante e quale sia l’oggetto di attenzione, bensì -spostando la problematica su un piano ulteriore- la loro temporalità: in un cortocircuito temporale -forse causato dalla mancata messinscena cui si fa riferimento nell’inquadratura di apertura (un evento performativo sottratto al suo tempo di avvenimento effettivo)- è impossibile comprendere quando qualcuno stia guardando qualcosa. Un qualcosa, a sua volta, inconosciuto tanto nella sua condizione di oggetto guardato che nella sua effettiva collocazione temporale.

Lo sguardo di Wéninger, frontale, è rivolto ad un tempo verso la camera (di cui si esplicita ripetutamente la presenza, attraverso piani dedicatile), verso il personaggio di Juli Jakab, verso quello di Márton Kristóf e verso lo spettatore stesso. La stessa multidirezionalità vale, transitivamente, per Jakab, il cui sguardo è rivolto verso lo schermo di un portatile la cui superficie resta però occultata, di cui ci viene mostrato solo il retro: oggetto del suo interesse potrebbe essere tanto la performance ASMR, quanto il materiale fotografico inerente le prove di quello spettacolo mai avvenuto.

L’omnidirezionalità non è dunque prerogativa di Wéninger, ma è bensì la condizione fondante di qualsivoglia azione scopica di Cold Meridian. Non vi è rapporto gerarchico tra sguardi e oggetti, così come tra le sfere temporali cui essi appartengono, ma una problematica commistione erotica. La voce della performer ASMR sembra però provenire dal futuro, dal momento che identifica i suoi spettatori numericamente («Viewer 14,732», «14,733», etc), e anticipa ogni loro atteggiamento spettatoriale: sa a che ora si sono connessi, quanto interromperanno la riproduzione, etc. Questa parrebbe essere una caratteristica esclusiva della donna, ma la pacificità con cui la meta-storicità della sua voce viene accettata dai suoi spettatori suggerisce che non vi sia in essa nulla di particolare.

Cold Meridian si rivelerebbe un mero ed ennesimo ritorno a Kulešov, non fosse che, come esposto, all’ambiguità direzionale (e, dunque, spaziale) dello sguardo se ne aggiunge una temporale. Laddove la colonna visiva rilancia tali problematiche verso l’insoluto, quella sonora le riassorbe in un tessuto organico in cui entrambe si dissolvono. Il sound design di Terner invalida ogni frattura dimensionale, immergendola in un bagno sonoro pacificante, in cui ogni difformità è apparenza. Di cui la sensazione chimerica che Cold Meridian suscita, perturbante, a un tempo di profonda inquietudine e totale rilassatezza. Assistiamo alla morte del tempo cronologico che, fratturato e privato della sua coesione logico-causale in primo momento (il che è fonte di sgomento), cede all’eternità immobile della sensazione auditiva. Il senso percettivo fagocita il senso semiologico.

Niccolò Buttigliero

Vita low budget in campionato juniores. Vedere, scrivere, fare cinema - ut scandala eveniant.

Laureato al DAMS di Torino in Storia e teoria dell'attore teatrale con una tesi sul «progetto-ricerca Achilleide» di Carmelo Bene. Vive in un cinema e lavora in un teatro.

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