La visione che fa il ritorno

“Ognuno vede ciò che può immaginare”.

Ed è la visione a permettere il ritorno, non il contrario. Accade così che le strette sponde che abbracciano un’anima si dilatino a tal punto da farle nascere in petto un oriente, quel segreto delle primavere notturne che si fa spazio nel mezzo di un viaggio del cuore, digiuno di paure e traboccante di ogni attesa. 

È la Nebbia della Lupa. 

La “lupa” è un particolare fenomeno atmosferico che si verifica nello Stretto di Messina solitamente tra la fine dell’inverno e l’inizio della primavera, nelle ore notturne fino al primo mattino, a causa della differenza di temperatura tra l’aria calda della terraferma e la superficie più fredda del mare, contrasto che pone le condizioni ideali per la formazione di nubi dense che possono superare i cento metri di altezza e che avvolgono il paesaggio in un’atmosfera surreale e misteriosa. Il nome, fra le tesi più attendibili, sembra derivare dal suono, simile a un ululato, emesso dalle imbarcazioni dei pescatori mediante l’utilizzo di una conchiglia marina, la ‘brogna’, per segnalare la propria posizione nell’attesa che i primi chiarori la dissolvessero.

Il mattino occulto va cercato con la lanterna spenta. Nella stanza buia brilla una pipa, e noi che siamo in prima fila non sappiamo più se credere al suo fumo oppure a quello che ci inganna le palpebre, come un tappeto steso sulle nostre finzioni per farci inverare tutto, o il giusto che basta, che serve: la coltre ci travolge, il dio Hypnos apre la bocca, sogniamo.

Stalker Teatro porta in scena un incantesimo. 

Si spala la nebbia, le sponde arrancano a comparire, e i marinai le dimenticano. Inizia un carnevale oscuro. S’intrecciano le visioni di chi è costretto ad ancorarsi alla rada dell’incertezza: minotauri incatenati, impassibili sbandieratori, mostri, e un mago che non sa porre la sua scala, e tutto un carosello di figure totemiche a spasso nell’apparire. La notte dilaga. C’è fame. Chi tornerà? E quando?

La porta si apre, ed è forse una morte a spalancarne la soglia. Si deve abbandonare la luce del passato per trovare il tepore in altri colori. Il piede tocca di nuovo la terraferma. È la gioia della festa: si mangia, si beve, si fa l’amore. Ma le reti, prima strumenti di una quotidianità scandita, ora imbrigliano la realtà di chi le ha vestite attraversando la gabbia di una cecità non scelta, di una necessità crudele. Così gli amanti si cercano, si trovano e sempre trapassano il mistero che li separa, come un sipario a proiettare la caligine di segreti distanti, di tutte le emozioni celate e ancora a venire.

Nel villaggio, nella serenità del focolare, il pericolo non si estingue: la lupa urla. È la bestia nello stomaco, il fondo irrequieto nel cuore dell’uomo, l’ansia del miraggio, la sete di avventura, il terrore del tedio e della ripetizione. Il male radicale, direbbe qualcuno, il Diavolo. E quando tutto sembra sereno, c’è chi giura di sentire l’insidia, la catastrofe sullo stipite delle case e delle fronti. È forse il tremore del sangue? C’è chi avverte gli altri. C’è chi scansa quest’odore di minaccia, questa sfinge che divora la tranquillità come un morbo silenzioso. E dalla peste, si sa, o si muore o si guarisce.

Si ergono templi allora, altari lavati di bianco, cantilene che sigillino una supplica definitiva a placare la sotterranea corrente che incombe sui giorni. Le torri crescono e trovano i suoi adoratori; la ragione, la forma, la squadra, costruiscono le sicurezze che ingannano la vita, o perlomeno gli istanti. Ma la belva che viene dal mare conosce il segreto per camminare, per arrampicarsi fino al cielo e trovare la via della folgore che annienta ogni tentativo di oblio: i partenoni crollano, gli idoli non sono all’altezza di un dio vero.

Maledetti siano quelli che dimenticano. Non si può illuminare la nebbia. La lanterna deve restare in silenzio, anche sulla terra. Nelle sue spire è la morte, è l’assenza a fare un varco; e chi non dimentica il terrore del suo enigma riesce finalmente a sfamarsi e a dire: “Ho pescato, questa è la mia piramide verde, il frutto dei miei sussulti. Ho pescato.”

Lo sgomento della nebbia è che nasconde gli ostacoli. Allo schiudersi della mattinata, la lupa si ritira, ma la bruma rimane a forgiare le sue effigi distorte e i suoi dissonanti languori. 

La leggenda narra che la Fata Morgana (che è anche il nome con cui si indica un insolito tipo di illusione ottica) si riconciliò con il mitico sovrano Artù, suo fratellastro, dopo la sua ultima battaglia, conducendolo nella terra di Avalon per curarne le ferite prima del suo glorioso ritorno. Secondo una versione del racconto, Morgana non condusse Artù nella famosa isola delle mele, bensì in Sicilia, alle pendici dell’Etna, dove avrebbe potuto saldare la spada Excalibur. Affascinata dalla bellezza di quella terra, decise di farne la sua dimora costruendo un castello di cristallo nelle profondità dello Stretto di Messina, da dove continuerebbe a farsi beffe dei naviganti tra le due sponde, ammaliandoli con i suoi sortilegi.

Dove comincia allora il miraggio nel cuore di un’artista? Cos’è il caldo, qual è il freddo che ne coagula l’opera e che bagna nella costa il vascello fantasma di un’idea, l’Olandese volante che gli abita il petto e le notti, e che altrimenti solcherebbe in eterno i mari dell’informe, nell’oscura promessa di una possibilità soltanto intuita?

Il mare di fine inverno è la piatta tranquillità della Forma, la lama della distinzione, l’unica attività dello spirito che può davvero inventare. Su di esso cala, simile a una fatalità che si incolla ai sognatori irredimibili, il vaporoso tepore della vita forata di abissi, ovvero le finestre inumidite da cui estrarre una rugiada d’eternità, a volte illusione e semplice lusinga, a volte così duro da accompagnare le ere.

La condensazione richiede la calma dei fondali, l’esattezza di una mente che conosce la distanza tra una sensazione e l’altra: i venti devono riposare, e l’arte è anche un’arte della tregua, della carezza che separa e accoglie.

Stalker teatro ci mostra la gemma di questo processo. Uno spettacolo che è piacere per gli occhi e la fantasia, una perfetta architettura onirica che, grazie alla melodia sinuosa dei gesti e alla loro alchemica precisione, riesce a sprigionare da questi un’espressività trasfigurante, non semplicemente coreografica né cosmetica, rendendoli autentici geroglifici di un mondo dischiuso, a picco sull’inquietudine universale che ci fa tutti sirene e pirati.

Senza visione non si torna. Cosa lo impedisce? Il voler rischiarare la nebbia, il costringere gli occhi davanti ad essa, la chiarezza a ogni costo. Ulisse si inchioda per sentire il canto delle sirene: è la curiosità dell’incerto, dell’appiglio che non si vede e che invita comunque la prua, come la mano dell’artista che fruga la sua chimera nella solitudine di un cuore strappato senza mappa al mezzogiorno.

Ulisse ama sua moglie, ma deve dimenticare Penelope per ritrovarla. In mezzo, tra due isole conosciute, c’è un muro di tenebra a impastare la sua odissea, e la serena determinazione di non negarla e di abitare un destino spoglio di fari.

Al termine, una stessa pipa continua a fumare. È quella di Boccaccini e di tutti quegli artisti che sanno duettare con le voragini e i rilievi dell’anima sola, rimestandone i gorghi con la spada magica di un caos ricomposto e portando a galla il fiume luminoso di un digiuno che può avere così il nome di opera.

La nebbia, infine, ritorna nella conchiglia e fa la perla.

La lupa ha urlato forte qui. Io le ho solo teso il mio orecchio: il suo rumore ancora mi sfama.

Tutte le immagini sono fotografie di scena a cura di @giogosottile e possono essere consultate al seguente link.

Alessandro Bernardini

Nato a Roma, é laureato in fisica teorica con una tesi in teoria delle stringhe. Insegna fisica e matematica a Torino, dove si dedica alla scrittura, alla critica, al teatro e alla traduzione. Nel 2023 ha curato la traduzione de “L’incantatore putrescente” di Guillaume Apollinaire (Nino Aragno) e di “Sei ore da perdere” di Robert Brasillach (Settecolori).

Indietro
Indietro

Orione: immagini della creazione

Avanti
Avanti

Feste barocche