La volontà di scandalizzare. Note di psicologia II
Come si può, di fronte all’espressione arrendevole e languida, femminile e meridionale, mendica di complicità, prepotentemente dolce, intrusiva, indagatoria – di fronte a quell’espressione che pare dire «e beh, insomma, andiamo avanti, malgrado tutto», andiamo all’imperativo, «malgrado tutto» come se si sapesse tutto, ma anche «dài, che in fondo ci capiamo senza parlare, perché sotto sotto non c’è niente da capire» – quell’espressione comprensiva, apprensiva, a priori – come si può, dicevo, anche di fronte a quel modo di votarsi ai fatti, a quel modo particolare di ricordarlo a se stessi, quel dire «una cosa o è così o è cosà» – di fronte a quelle formule magiche, suggelli dell’eticità, ai richiami al senso del «dovere», al senso della «morale», al senso delle «istituzioni», termini muti che per tornare a risuonare devono fare appello a un sensismo che viene sempre nostro malgrado a significare il buonsenso – come si può, dunque, incastrati in quell’intercapedine tra lassismo e simulazione che è la persona, anelare tuttavia a uno scampolo di autenticità?
Vivere sarebbe troppo semplice se bastasse la conformità alla norma ad essere eccellenti e questo la natura lo sa, infatti la società cova sempre in sé l’embrione e della propria riforma e della propria disfatta. Se adottare una delle due strategie adattive descritte, della negatività manifesta e della positività esoterica, fosse sufficiente per appartenere al branco umano, primo non ve ne sarebbero di due tipi, secondo esse non sarebbero di due tipi contrapposti, terzo non sarebbero associate a corruzione come di fatto sono: all’uomo è richiesto oltre al dovuto anche di essere libero. Poiché però una libertà positiva (libertà-di…) finirebbe per coincidere necessariamente con una delle due condizioni di deficienza umana, e poiché il coincidere con tutte e due sarebbe impossibile, in quanto seguendo il principio di non contraddizione la libertà finirebbe per significare l’illibertà, non rimane che una nozione puramente negativa di libertà (libertà-da…) – e su questo punto occorre non dimenticare l’Adorno. Libertà negativa che, in mancanza di alternativa, finisce per tradursi in un’alternanza disperata tra la prima e la seconda attitudine, tra un comunitarismo anarcoide pieno di buoni sentimenti e un’assertività istituzionale vuota. Per questo la serenità, che si trova soltanto in una o nell’altra condizione, non può mai trovarsi in un uomo eccellente, che suo malgrado si troverà sempre a significare una forma perversa e altalenante di felicità.
Vogliamo dissuadere il lettore dal realizzare qualsivoglia analogia tra ciò che abbiamo qui chiamato negatività manifesta col cinismo greco e positività esoterica con la religione cristiana, concetti del tutto diversi, che intendiamo ora riabilitare. Poniamo dunque di essere uomini eccellenti, capaci di umanità e di assertività, di pietà e di severità, di ironia e di austerità. Nel nostro movimento di ascesa e di perfezionamento, accadrà a un certo punto di trovarsi vittime della nostra stessa eccellenza, poiché l’eccezione che andremo a significare non farà altro che ritornare sempre e di nuovo a coincidere con la conformità di cui non ci accontentavamo. Infatti la norma è essa stessa anzi massimamente libera. Come potere allora ritagliarsi un brandello di autenticità quando ogni avanzo di galera è disposto a farci credito, quando qualsiasi cosa si dica finiamo nostro malgrado per essere creduti? E ciò in particolar modo quando si è fra persone eccelse! Tutte a riconoscersi titoli e distinzioni, medaglie al valore non richieste... Come potere dire la verità quando il falso è diventato incontemplabile? Ecco che ogni condizione prelapsaria dell’essere umano ci sembra ora un inferno, poiché la sete di verità deve esprimersi anche quando si è nella verità; infatti la libertà umana non è in uno stato ma in questo anelito.
Così, come si può, di fronte a quegli sguardi complici, che sembrano dire «lo so che anche tu sei dalla parte del Bene», di fronte a quell’indulgere, a quel concedere, a quel convenire – come si può di fronte a quelle fauci secche dal troppo sorridere, di fronte a quei volti rugati dalla connivenza, a quelle nuche rigide dal troppo annuire – come si può in circostanze tali non avvertire l’urgenza estrema di dare scandalo, perché le nostre parole tornino ad avere un significato, perché tornino ad essere prese sul serio, ad essere anzi attentamente esaminate, ispezionate, inquisite?...
Nessuno può infatti accontentarsi della simulazione di una comunità – questo offende il nostro buon gusto, la nostra umanità. Perché torni ad esservi la nostalgia di una comunità bisogna invece che si dia separazione tra gli individui, che essi si riconoscano reciprocamente come liberi. Quando invece la tendenza agglutinante, ipocrita, accelerata dai «microsocialismi» (del cazzo) che dilagano in ogni luogo, la tendenza a parodiare una società domestica (domesticata), quando essa raggiunge picchi di diffusione, ecco che lo scandalo rimane l’unica via percorribile. Lo scandalo dell’individualismo più radicale, l’uso dell’intelligenza più affilata, ma questa volta nell’abito del bastian contrario, del moraliste, del sabbatiano – di chi per il bene è disposto a volere il male. In ciò è il cuore dell’etica: riconoscere la realtà di una cosa, non perché «nulla è vero, sotto sotto» né perché «tutto è vero, punto e basta» ma in quanto tale: riconoscerne la validità solo per negarla sarcasticamente o per compierla alla luce del suo vuoto formalismo: «questo valore, di cui tutti, me compreso, riconoscono la vigenza, ebbene, non vige, anzi vige l’esatto opposto»; oppure «questo valore, sì, vige, niente di più, non fa che vigere, ebbene?».
Vi sono momenti in cui un uomo è chiamato a disconoscere la minima riverenza nei confronti del costume, altrimenti il dovere ne risulterebbe sottovalutato. In ciò la legge va tenuta ben separata dalla morale, poiché tutto ciò che non mi è vietato mi è concesso: «dunque, fai bene attenzione, non è sotto l’egida del tuo bene (del cazzo) che ci troveremo a metà strada» – questa la suprema pratica del dovere. È anche per questo motivo che le famiglie, organismi privi di legge, escrescenze genetiche, in cui la separazione non si è ancora verificata, tendono a creare mostri. Ogni regime di costumi ha bisogno per sopravvivere di un fegato spirituale che ne dreni il veleno. Nella società civile non vogliamo capri espiatori: per questo siamo chiamati a nostra volta a significarli.
L’espressione negativa dello scandalo è dunque il cinismo, mentre quella positiva è il cristianesimo. Se la negatività manifesta e l’affermatività esoterica erano due forme opposte di adesione alla norma, il cinismo e il cristianesimo sono due forme opposte di trasgressione. Entrambi rappresentano comportamenti inappropriabili e inassimilabili dal costume in quanto sono la negazione del costume – e della sua libertà.
È così che il cinismo e il cristianesimo paiono attitudini spregevoli se adottate da uomini che non ne sono all’altezza. Allo stesso tempo è spregevole non ambire a tanto. Quest’ambizione però la paghiamo a caro prezzo, appunto quello di risultare spregevoli. Così di fronte alle tante mani tese ad appropriarsi di noi indebitamente, ad appiopparci qualità ed etichette, a risolverci in esse, di fronte a riconoscimenti che aborriamo, a premi che ci offendono, a braccia da cui non vogliamo essere accolti, non possiamo che diventare impopolari e consegnarci alla blasfemia o alla fede, quasi che ci fosse da qualche parte un giudice in grado di capire la nostra bua e la sanzione che con tanta passione applichiamo sui nostri simili e sulla comunità; quasi che ci fosse, al di là di tutto, una verità.