38 TFF - Eyimofe (This Is My Desire), di Arie e Chuko Esiri (Torino 38)
Mofe e Rosa vivono a Lagos, in Nigeria. Lui lavora in fabbrica, lei fa la parrucchiera e insieme progettano di emigrare all’estero per trovare una vita migliore. Il destino ostacola però i loro piani, e quando la realizzazione del loro sogno sfuma si vedranno costretti a riconsiderare anche la possibilità di costruire nel loro stesso mondo il futuro che desiderano. Dalla Nigeria un esordio potente in cui il dramma, ma anche la pazienza e la capacità di elaborare delle soluzioni, assumono le forme della quotidianità.
Nazione: Nigeria, USA; Anno: 2020; Durata: 116'
Una coppia di registi, Arie e Chuko Esiri. Una coppia di personaggi, Mofe (Jude Akuwudike) e Rosa (Temiloluwa Ami-Williams). Mentre i primi sono, necessariamente, involti in una strettissima conversazione, i secondi sono due perfetti sconosciuti. Non sono accomunati che da un luogo, Lagos (Nigeria), e dalla velleità di sfuggirgli. Laddove Eyimofe si biforca in due blocchi giustapposti per seguire le vicende prima di Mofe e poi di Rosa, l’inglobante presenza della metropoli -unita a un sottile gioco di eco interne- ne coagula le componenti. Lagos è un fertile labirinto multi-livello: dalle baracche ai modesti appartamenti dei protagonisti, fino a babelici appartamenti iper-lusso. La sua ambiguità come luogo al contempo oasistico e invivibile, amato ed esecrato a un tempo, trova la propria concrezione filmica nella modalità rappresentativa che le è riservata. Il caldissimo 16mm di Arseni Khachaturan (curatore della fotografia) la celebra in ogni suo anfratto e cromia, la osserva pacifica. Rifuggirne è doloroso come essere strappati da un sogno dalla luce del giorno. Se è lei ad ospitarlo, anche gli avvenimenti più atroci ricevono un’aura da sogno. La morte della famiglia di Mofe riporta alla memoria la triade martirologica di David: nelle palpebre chiuse dei suoi figli, rinveniamo l’estasi del giovane Joseph Barra.
L’uomo lavora come tecnico per una tipografia locale, svolgendo una perpetua, titanica manutenzione per far sì che l’impianto elettrico -obsoleto in ogni sua componente- continui a funzionare. Senza che una qualche miglioria venga preventivata o immaginata dalla direzione. Lo sguardo di Mofe di fronte al groviglio spirale di cavi elettrici è lo stesso di Alessandro di fronte al nodo gordiano. Dopo un primo (a lungo protratto) tentativo di mediazione con l’insolubile, non si può che sradicare, distruggere. Quel groviglio è anche un simbolo di Lagos, matassa caotica di burocrazia, criminalità, bellezza. Di fronte alla contemplazione della sua inestricabilità, al riconoscimento della sua natura enigmatica, non si può pensare che di allontanarsi.
A unificare le rotte parallele di Mofe e Rosa è soprattutto questo, il desiderio, la prospettiva di un luogo altro, che rimane -per la durata dell’opera- un’oasi irraggiunta. Sia la sua immagine modellata sulla Spagna, o sull’Italia. Il suo valore consiste in primis nella sua differenza da Lagos. Nonostante vivano nello stesso quartiere, i due non si incontrano che in una fugace occasione. Pure, condividono quella propensione a una dimensione altra che regola ogni loro azione, e ne determina ogni frustrazione.