38 TFF – Moving On, di Dan-bi Yoon (Torino 38)
Durante le vacanze estive, Okju e Donju si trasferiscono nella casa del nonno dopo il dissesto finanziario del padre. Mentre il giovane Dongju si adatta immediatamente, Okju prova invece un forte disagio. L’arrivo della sorella del padre, prossima al divorzio, cambia per fortuna le cose, e anche Okju comincia ad apprezzare la nuova vita in famiglia. Tuttavia, quando il nonno si ammala, zia e padre decidono di mandare l’uomo in una casa di cura e mettere in vendita la casa.
Nazione: Corea del sud, Anno: 2019, Durata: 105'
Okju non vuole andarsene. Intrappolata nella composizione geometrizzante della prima inquadratura di Moving On, costituentesi in una sequela di campiture monocromatiche verticali, la giovane contempla i muri ormai spogli del suo appartamento. Una porta si apre, corrompe l'asetticità del quadro. È ora di andare.
Sulle musica di Shin Joong Hyun, il furgoncino del padre di Okju e Donju si avvia verso la casa del nonno. Nella frazione del tragitto compiuto che Dan-bi ci mostra, impiegando un sobrio e pacificante piano sequenza, l'asfalto eccede sé stesso, estaticamente: è già un viaggio, un'iniziazione. Come accadeva in Sud sanaeha (dir. Apichatpong Weerasethakul, 2002), la concretezza della strada, nella sua matericità, è anche un percorso spirituale.
Laddove l’iconica casa di Parasite (dir. Bong Joon-ho, 2019) era la concrezione di una disparità sociale, una struttura dinamica in cui ogni segreto coincideva con un determinato spazio o elemento architettonico, e dunque palcoscenico di atroci conflitti, quella di Moving On è il simbolo di una condizione esistenziale, di un sentimento. Una casa che si presenta, a noi come a Okju e Donju, vuota e accogliente. Il nonno ha appena avuto un colpo di calore, il primo di una serie di malanni che ne presagiscono la dipartita. Una morte che non ha i caratteri di uno strappo violento, ma di un pacifico trapasso dimensionale. Non sono solo le sue condizioni fisiche a prefigurarne l’avvento, ma il suo atteggiamento calmo, rilassato fino all’evanescenza. Di notte, sprofonda nella sua poltrona all’ascolto della musica che ama. Uno dei pochi segni del suo legame con la vita è al contempo un espediente per ribadirne la natura ectoplasmatica. Il nonno è uno spettro, per quanto familiare: non parla, non mangia, non si alza. Sorride da lontano, schermato dalle foglie delle sue piante. La sua casa è una sala d’attesa, preposta più a preconizzare il lutto che ad elaborarlo ex post. Qui la distanza di Dan-bi Yoon da un cineasta come Kore’eda Hirokazu (pensiamo soprattutto a Maborosi, 1995), la cui eco stilistica comunque pervade l’estetica dell’opera prima della giovane sudcoreana. Dopotutto, questa rappresenta le reazioni immediatamente successive alla dipartita come non scevre da un elemento gioioso, festoso. Il pranzo conviviale, la goffa danza di Donju al cospetto delle ceneri.
Moving on è situato in un’estate metafisica in cui, a ben vedere, non si fa altro che attendere che qualcosa accada: la ripresa della scuola, la risoluzione della situazione sentimentale della zia Mijung e di quella lavorativa del padre, fino alla scomparsa del nonno. La cui casa abbraccia e riconverte un nucleo familiare scisso in uno unitario, ammantato e protetto da un fantasma felice.