38 TFF - Las niñas, di Pilar Palomero (Torino 38)
Celia (Andrea Fandos) non canta.
Durante le prove del coro, esegue una performance in lip-sync seguendo la voce delle sue compagne più dotate, usandola come supporto sul quale poggiare il suo silenzio. Così le è stato intimato dalla sua insegnante di musica, una delle tante suore che popolano la sua scuola.
Las niñas si apre con una parata di primi piani pseudo-muti: la bocca delle giovani ragazze protagoniste si contorce, si spalanca, ma a fuoriuscire non sono che suoni salivali, a-linguistici. Anche durante la preghiera mattutina, per mimetizzarsi e nascondere il fatto che non conosce il Padre nostro, a Celia basta un movimento labiale che imiti grossolanamente quello delle compagne. Non si canta individualmente, né si prega: si è sempre parlati da un sistema complessivo, omologante.
Le figure maschili, nel mondo chiericale in cui Celia è immersa e a cui sembra ormai abituata (o, meglio, rassegnata), sono pari a esseri mitologici. Presenziano nelle filastrocche cantate durante la ricreazione, in cui si narra delle loro gesta amorose («Sono il capitano di una nave inglese / ed ho una donna in ogni porto»); compaiono a tarda notte sugli schermi televisivi; la loro voce si ode soltanto tramite la radio, grazie a band come i Niños del Brasil, o gli Héroes del Silencio. Ma il vero sex symbol è, indiscutibilmente, Gesù Cristo. Celia è una delle sue groupies (spirituali, s'intende) più affezionate. Da fedele ammiratrice, gli scrive una lettera chiedendogli quando ha pianificato la sua prossima venuta. e se può fornire qualche anticipazione riguardo il suo outfit corporale: «Quando verrai, sarai un bambino o un adulto?». Forse il Nazareno non torna proprio per l’imbarazzo della scelta epidermica, consapevole delle conseguenze di una sua qualsiasi preferenza al riguardo.
Ma il cristianesimo comincia a passare di moda. Le stesse suore di addormentano alle proiezioni di Marcellino pane e vino (Marcelino pan y vino, dir. L. Vajda, 1955). Se neanche il tanto decantato cinematografo riesce a rebrandizzare Cristo, forse la partita è persa.
È Brisa (Zoe Arnao) la prima a sdrucire il velo metafisico che offusca la vista di Celia, e ad iniziarla ad un mondo nuovo. L'altero, più che Dio, è l'altro sesso. Si cercano reliquie che ne comprovino l'esistenza, come la misteriosa confezione nascosta dalla madre di Cristina (Julia Sierra), contenente profilattici il cui numero progressivamente diminuisce. Forse, più che ai Vangeli, bisognerebbe interessarsi allo studio del Kamasutra. Dopotutto, è la stessa Madre Consuelo (Francesca Piñón) a dettare un tema di classe in cui si enuncia che: «La sessualità fa parte del piano di Dio. […] Dio disse: non è bene che l'uomo sia solo, e così creo la donna».
Ma Pilar Palomero ribalta la prospettiva. Sono le niñas a sentirsi sole, e sembra che sia il loro stesso desiderio a evocare quei misteriosi chicos di cui, per un buon terzo dell'opera, non sia ha la benché minima attestazione visiva. I primi ragazzi emergono dalla penombra stroboscopica di una discoteca: corpi tra corpi, indistinti. Gradualmente, uno di loro prende forma. Una forma non particolarmente entusiasmante. Attirato dal più classico dei giochi di sguardi, si avvicina a Celia.
«Volete pomiciare?»
Ovviamente, i ragazzi sono degli imbecilli. Tutt'al più interessanti perché motomuniti, o perché si offrono di portare da bere.
Dopo aver costruito un'enorme aspettativa riguardo le figure maschili, Palomero non esita a castrarne il potenziale, relegandoli all'insignificanza. Quanto a uomini, dopo la fugace e deludente apparizione di Edu (Adrián Fourier), vedremo soltanto un prete (immerso nell'oscurità di un confessionale, e piuttosto laconico) e un dottore (di cui vedremo soprattutto le mani). Figure adulte, austere, pedissequamente aderenti alla loro professione. A Palomero non interessa tanto l’incontro-scontro tra i due sessi, quanto la costruzione dello sguardo di quello delle sue giovani protagoniste verso il polo opposto. Si concentrerà soprattutto sulle dinamiche interne al gruppo di studentesse compagne di Celia, sul rapporto che quest’ultima intrattiene con loro e con sua madre (Natalia de Molina), e con un padre eternamente assente, il vero fulcro misterico dell’opera.
La seconda sezione di Las niñas abbandona l’esuberanza della prima, adattando uno stile contemplativo, reverenzialmente silenzioso. La coda del film si propone di seguire il percorso che Celia compie verso la conoscenza di se stessa e della rete relazionale in cui è imbrigliata. Aderendo perfettamente ai canoni del coming of age, il film si chiude su una Celia consapevole di sé. E che, conscia dei propri limiti canori, sceglie di esibirsi alla pari con le proprie compagne.
Cantando con la propria voce.