38 TFF - Toorbos (Dream Forest), di Rene Van Rooyen (Fuori concorso)
Anni ’30. Karoliena Kapp vive con la madre in una comunità di taglialegna isolata della foresta di Knysna, in Sud Africa. Karoliena attira l'attenzione di Johannes Stander e prima di compiere diciotto lo sposa, lasciando la sua casa e trasferendosi in città. Costretta ad adattarsi a un ruolo di moglie che non accetta, il giorno dopo le nozze Karoliena scappa per tornare nel bosco. Il conflitto tra il desiderio di restare fedele a sé stessa e alle proprie origini e l’obbligo di tornare alla vita coniugale spingerà però Karoliena sull'orlo della follia.
Nazione: Sud Africa, Anno: 2020, Durata: 117'
«Mio padre era un grande albero. Mi ha insegnato che vivere può essere come sognare, ma a occhi aperti. Questo fino ai miei otto anni, poi è stato ucciso da un fulmine. Mia madre era come un albero morto, distrutta dalla sua scomparsa. E così la foresta mi ha accolta».
Se riguardo la madre di Karoliena Kapp (Elani Dekker) nutriamo qualche dubbio quanto alla sua natura silvestre, sul padre pare non esserci alcun dubbio.
Karoliena non solo è figlia di alberi, ma ne padroneggia il linguaggio. Quello che Karoliena intrattiene con la foresta di Knysna (Sudafrica) è un dialogo esclusivamente riservato agli ascoltatori. Non v’è timbro vocale che prevarichi su un altro, nessuno parla. Ogni cosa emette un piccolo tassello fonico atto alla stesura di un tracciato entropico, rumoristico e, semiologicamente, pari al silenzio. Come Karoliena enuncia in apertura, «anche se smarrisci la via, nella Terra degli Alberi non sarai mai perso». Un’indicazione da non interpretare su di un piano meramente geografico, ma da estendere a ogni sfera d’azione. E di linguaggio.
Johannes (Stiaan Smith) conduce Karoliena fuori da quel mondo destinato a rimanere ignaro dei benefici del progresso e, dunque, alla rovina. Come la giovane silvantropa, anche Johannes viene dalla Foresta. Parlano - o, perlomeno, hanno condiviso - la stessa lingua. Il suo non è un rapimento violento, o un irretimento. È un invito dolce, premuroso, verso un nuovo mondo tutto da scoprire, quello dominato dagli Uomini. L’ambiente domestico è per Karoliena un contenitore da tastare in ogni suo anfratto. «Buonasera, armadio di ocotea bullata»: riconosce ancora la voce del legno boschivo, semplicemente riconvertitosi in funzione di uno spazio antropomorfizzato. Il passaggio da un mondo all’altro non ha nulla di traumatico, è una semplice impulsione ventosa. La «seconda Grande Migrazione», quella «verso la città», non sembra segnare, in prima istanza, alcuna svolta epocale.
Karoliena e Johannes fanno l’amore, nella loro nuova casa. Sono immersi in una luce calda, avvolgente. Qualcosa si rompe. Irrompono le immagini della foresta, fredda, ammaliante. Un richiamo gravitazionale verso quel gorgo oscuro che da sempre accoglie Karoliena. Nel preciso istante in cui più profondamente si lega a Johannes - e con lui al Mondo degli Uomini, attraverso il vincolo sacro-burocratico del matrimonio - Karoliena se ne distanzia irrimediabilmente. La sua psiche si scinde, e, con essa, il film stesso, lungo un doppio binario dalle cromie antitetiche.
«Nella foresta sono la verità, in città sono una bugia».
La donna ritorna nella foresta che l’ha procreata, attratta da quel gigantesco albero che vi troneggia. L'abbandono dei costumi civili non è rappresentato da Van Rooyen come un rifiuto violento, frutto di un impeto barbarico e incontrollato. Karoliena lascia cadere dolcemente gli abiti confezionatigli da Johannes a terra, con dolcezza. Non disprezza né Johannes, né il mondo in cui l’uomo sceglie di riconoscersi. Pure, il suo distanziamento è radicale, irreversibile.
«Albero di kalander, albero di ocotea bulllata, yellowwood, assegaai, pero, loerie, aquila coronata, rane, foglie del sottobosco». Si rivolge ai suoi fratelli, recitando una nenia magica. Si cosparge la pelle, bianchissima, di terra umida. Si riveste di foglie. In una notte di tempesta, si fa cullare dalle rientranze uterine del gigantesco albero a cui sempre si rivolge. Nessun edificio, o vestito (pur fabbricato su misura) aderirà così perfettamente alla sua epidermide. In natura non esiste nudità.
Il progresso, genocida, non si arresterà certo perché Karoliena rifiuta di riconoscerne l’utilità o, più radicalmente, l’esistenza. È lei stessa a descrivere la sua vita come uno stato di onirismo. Pure, solo prolungando il suo legame con Knysna le è dato sopravvivere, sopportarsi.