Essere-per-la-caduta

Proprio. Incondizionato. Insuperabile.

La morte – ci avverte Heidegger – non è affatto una semplice presenza non ancora attuatasi ma è, prima di tutto, un’imminenza che sovrasta. Ma all’esserci, come essere-nel-mondo, sovrastano molte cose e, pertanto, il carattere d'imminenza sovrastante non è esclusivo della morte, ma appartiene anche a semplici-presenze o compresenze. L’Esserci stesso, in definitiva, è un’imminenza sovrastante il cui carattere evenemenziale sta nella «caduta», che rivela il «movimento» che gli è esistenzialmente più proprio.

Se qualcosa è certo, infatti, è che gli uomini cadano: da piccoli, mentre imparano a camminare; da adulti, quando la camminata si fa troppo svelta; da vecchi, quando non si è più capaci. Il tratto evenemenziale della caduta si dà anche in senso metaforico: they have fallen in love, ils sont tombés amoureux

E ancora: nella sua prima pubertà, Jaromil comincia a scrivere e a fantasticare sul corpo dell’inserviente di famiglia attraverso un processo di astrazione, rappresentazione e sostituzione. E così, «altre volte ancora si lasciava trasportare dall’immagine dell’orifizio e vedeva se stesso trasformato in una pallina che cadeva lungamente in quell’orifizio fino a divenire pura caduta, una caduta che eternamente cade dentro il corpo di lei».

Qual è il volto di una caduta assoluta? Qual è il vero rapporto tra la caduta assoluta di una pallina impazzita e un orifizio che non incontra mai le proprie naturali pareti? È proposito dell’ultimo libro di Tommaso Tuppini (La caduta. Fascismo e macchina da guerra per Orthotes, 2019) analizzare il concetto di Caduta attraverso il filtro del fascismo.

Attenzione: non bisogna farsi ingannare dal titolo. Quando Tuppini parla di fascismo, come specifica nella nota introduttiva, fa innanzitutto riferimento al fascismo tedesco, intendendolo unicamente come processo di soggettivazione che mette capo ad una caduta catastrofica. Niente moralismi quindi: andando al di là del bene e del male, Tuppini parla del fascismo in una certa maniera, con un certo stile. Infatti, l’autore non cade nella banalità del significato che oggi il termine ha assunto, riconoscendo che “the word ‘Fascism’ is almost entirely meaningless” – come asseriva Orwell negli anni Quaranta – poiché possiamo permetterci di chiamare “fascista”, afferma Tuppini recuperando l’autore di 1984, più o meno qualsiasi cosa.

Partendo da questa constatazione, è facile rilevare il fascismo come postura esistenziale; il fascismo, ed è questa la prima tesi del libro, è un modo di stare al mondo: non è pertanto possibile pensarlo in termini di semplice ideologia o come una forma di governo, tra le molte possibili. Lo si capisce ben presto leggendo il libro: il fascista non frequenta i circoli di Casapound e organizza le ronde notturne, o almeno non necessariamente; la cifra del fascista non è l’odio verso gli ebrei o verso gli immigrati: questi piuttosto sono, si passi il termine, “ornamenti” – necessari forse, ma non essenziali – del suo, ecco il punto, essere nichilista.

Scrive Tuppini in apertura del suo saggio: «la caduta è l’unico modo per lacerare il tessuto della realtà e annodare i fili della realtà in modo nuovo» (p. 11). Tentiamo di giungere alla comprensione di questa sentenza mediante un esempio pedestre. Una delle prime cose che fanno gli esseri umani, una volta venuti al mondo, è camminare. Se prestiamo una sincera attenzione ad un bambino che sta imparando a camminare non vedremo altro che un animale a quattro zampe che cade e si rialza: cade sette volte e cerca di rialzarsi otto. Venti anni dopo, quel bambino si è diplomato: si tuffa, cade, nella scelta dell’università. Allora il ragazzo lacera lo spazio che si trova intorno, scioglie i suoi legami affettivi, spaziali e intellettuali, rifiuta il passato e la realtà che lo circonda, ma non lo fa in senso assoluto: lo fa per creare una nuova situazione, dei nuovi legami. Il fascista questo non lo sa fare: il fascista si ferma alla fase in cui cade, fa propria la caduta e la assolutizza. La postura fascista implica, quindi, una negazione della realtà, uno scioglimento totale dei legami che non porta a ricostituirne di nuovi ma solo ad ammirare le macerie dell’annichilazione: «la caduta fascista abolisce la realtà invece di rinnovarla, non la trasforma, la sopprime» (ivi). Se a tutti piace cadere, al fascista forse piace un po’ troppo, finendo così per farne il proprio significato esistenziale.

Un saggio, quello di Tuppini, che racconta questa caduta assoluta esistenziale-politica da parte del fascismo tedesco. Una caduta che si articola a vari livelli: eugenetico ovvero biologico-fisiognomico (Razza, cap. 1), burocratico ovvero rituale (Rito e istituzione, cap. 2), bellicoso ovvero, propriamente, autodistruttivo (Guerra, cap. 3). Attraverso l’impiego delle riflessioni di Gilles Deleuze e Felix Guattari in Millepiani, l’autore mostra come il fascismo non sia una macchina biopolitica di controllo della popolazione, quanto una vera e propria macchina di (auto)annientamento. I concetti dei filosofi francesi, quali molecorità, molarità, linea di fuga e macchina da guerra, sono gli strumenti più adatti per entrare nell’alogia fascista al suo apice storico.

Una prima analisi degli scritti riguardanti la razza nordica mostrerà, allora, non solo i limiti stessi della ricerca da parte dell’intellighenzia nazista, ma soprattutto i fondamenti “metafisici” di questi stessi tentativi. Il libro cerca di mostrare tutte le forme e le contraddizioni della narrazione interna al fascismo, che fanno del proprio compito storico una questione esistenziale, e viceversa: ne va, allora, della pelle di un popolo, del suo naso, del suo stesso inserirsi in un ambiente. L’epidermide tedesca, segnata dal candore che malfunziona come membrana lasciando entrare i pericoli e uscire i sentimenti, dovrà allora essere eliminata a favore di una pelle diventata «schermo, una specie di superficie riflettente» (p.71). L’individuazione fallita del «non-completamente-nato» viene compensata così dalla volontà del tedesco. L’ebreo, pensato in questa opposizione alla purezza della forma tedesca, sarà allora l’immagine, o meglio «l’anti immagine e l’anti razza» (p. 93) perché non riesce a secedere completamente, come fa invece il tedesco, dal mondo impuro che lo circonda e lo attraversa: «l’ebreo è massa» (Ivi).

Il fascista è l’inadatto all’esistenza, tenta di costruirsi una corazza assoluta, ma nel profondo è attirato dal suo passato, dal suo caotico e informe modus vivendi che vorrebbe uccidere; proietta ciò che è, ciò a cui sa di essere destinato, nel mondo. Non durerà però molto la pretesa di potersi dare forma. Lo vediamo nei capitoli successivi, con l’abborracciata gestione della divisione dei poteri da parte dello stato tedesco. Tuppini descrive qui le istituzioni e i rituali che stanno alla base della nazione tedesca guidata dal Führer, dove le linee centrifughe, di disarticolazione, cominciano a prendere il sopravvento su quelle che dovrebbero centralizzare lo stato nazista consentendogli quella forma, che in un primo momento, era stata auspicata dai vari Rosenberg, Evola, etc. Lungi dall’essere un Potere centralizzato, il Terzo Reich si divide in mille commissioni differenti, spesso in conflitto l’una con l’altra. Ma «l’effetto della policrazia fascista è la dissoluzione dello stato» (p.134), leggiamo in conclusione al secondo capitolo: la forma, conchiusa e individualizzata, seceduta dal mondo, lascia qui sempre più spazio alle forze che non riescono a transitare nella forma stessa, si scontrano l’una con l’altra e conducono, in un’accelerazione fatale, la morte nel proprio paese.

Emerge allora la vera natura del fascista: vuole la forma, ma desidera il caos. Ed è in questa tensione che sopravvive, almeno finché l’equilibrio non si sbilancia troppo da un lato o dall’altro. Ripetiamolo: il mito esige che la razza nordica si compia nell’assolutezza di una solitudine stellare, adamantina. Ciò che in realtà succede, è l’esatto opposto. La disgregazione ritma gli ultimi anni della Germania nazista, fino allo sfacelo rappresentato dalla campagna in Russia. L’apice del processo disgregativo del Fascismo Tedesco è infatti l’atto bellicoso, privo di strategia nonostante la tattica formidabile, che il Reich conduce verso Est: «la macchina da guerra è la tappa in cui il fascismo si sgancia una volta per tutte dagli apparati dello Stato e, in nome della territorializzazione» - ovvero del darsi forma della molecolarità - «porta la Volkskraft davanti alla possibilità del proprio annientamento. Il lavoro per far nascere un “soggetto tedesco” produce così la sua ultima figura: il soggetto authentes, “autentico” perché capace di padroneggiare il pericolo dell’estinzione, anche se soltanto nel modo del suicidio» (p.136).

Come Jaromil, il fascista non può far altro che torcersi nel vortice della vita fino a toccare, pensando di poterlo afferrare, il punto dal quale il vortice stesso muove i suoi passi, il grado zero della vita, la morte. Tuttavia il fascista, come Jaromil, non comprende che quel punto è da avvolgere, da ricondurre altrove, perché esso non è reale, è il limite mai dato di tutto ciò che è: esso è propriamente il nulla. L’opera di Céline offre in conclusione al saggio allora l’unica valida alternativa alla vita fascista: una vita di scrittura, nella quale «il libro» che si costruisce «non vuole impossessarsi della distruzione, ma investe l’imminenza della distruzione» – imminenza propria, incondizionata, insuperabile, che ci sovrasta - «per produrre il vortice del mondo» (p. 210).

Arlindo Hank Toska

Dopo aver studiato Filosofia a Verona, Trento e Cracovia, la sua ricerca si concentra sul romanzo e la poesia, privilegiando ora temi legati alla retorica, alla teoria della scrittura e alla teoria della traduzione. Dal 2020 collabora con Mimesis Edizioni e Edizioni JOKER come traduttore. Nel 2023 esce la sua prima monografia Emil Cioran. Scrittura dell’Irreparabile.

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