Le parole, una polvere bianca
Emanuele Coccia, giovane promessa della (pop)filosofia europea, insegna alla École des hautes études en sciences sociales a Parigi e riflette principalmente su tematiche collegate all’estetica, alla moda e al rapporto uomo-natura. In questa scheggia, tradotta dal francese, ci offre uno scorcio del mondo e del linguaggio, partendo dal lavoro delle sue mani che si muovono sulla scrivania. Con un linguaggio compiuto, semplice, chiaro ma tagliente, mette in questione la superficialità che attribuiamo ad una delle pratiche più spirituali e psicotrope della vita: la scrittura.
Articolo originariamente apparso su Libération il 6 novembre 2020:
https://www.liberation.fr/debats/2020/11/06/les-mots-c-est-de-la-poudre-blanche_1804871
A cura e traduzione di Giacomo Berengo
Confinato, passo la maggior parte delle mie giornate seduto alla scrivania. Le ore passano attraverso la misteriosa coreografia delle mie mani. Tracciano strani scarabocchi su una superficie bianca e ben levigata. Distribuiscono, senza motivo apparente, steli e arti inferiori, regolano il rapporto tra recipienti e “serif”. In breve, segnano le lettere su una pagina. Sembrerebbe essere un'attività immune dal pericolo. Eppure, l'effetto di queste iscrizioni aniconiche sulle menti è paragonabile a quello di un ordigno nucleare sui corpi: oltre l'immediata esplosione violenta, c'è un'influenza che abbraccia i secoli, invisibile, sfuggente, irreparabile.
La scrittura rappresenta questa strana radioattività dello spirito: la capacità di abitare la materia più semplice, più povera, meno "animata" - un'idea diventa una macchia d'inchiostro, una superficie di cellulosa; eppure esercita, da questa minuscola esistenza, un'influenza molto più vasta, potente e duratura di quella che esercita quando abita il cervello di un singolo individuo. La scrittura non è, come spesso è stato considerato, un sostituto della parola - probabilmente ha una connessione accidentale con le parole e il linguaggio.
Ci siamo abituati a vedere la scrittura come qualcosa di ordinario, banale ed estremamente innocuo. Eppure è una delle sostanze psicotrope più potenti in circolazione. L'effetto di queste tracce irregolari su chi le usa produce visioni - nel senso ampio del termine, che comprende la percezione e la ragione: si comincia a vedere, ascoltare, gustare, pensare agli esseri assenti che non annodano alcuna relazione sostanziale con tutte le macchie che abbiamo davanti agli occhi. Non c'è niente di “documentaristico”. Niente di fotografico. Niente di realistico. Anche quando vuoi davvero dire quello che hai visto. Qualsiasi lettura, da questo punto di vista, è paragonabile all'assunzione di LSD o ad una sessione di ayahuasca. Le parole sono polvere bianca o bevanda dal sapore sgradevole. Ma, sorso dopo sorso, qualcosa prende forma davanti a noi, qualcosa che non ha nulla a che fare con il nostro corpo o con il mondo che ci circonda. Con una differenza decisiva: grazie a questa sostanza si può domare la visione, indurla personalmente e, soprattutto, riprodurla a proprio piacimento.
Nella scrittura avviene il processo inverso dell'assunzione di droghe psicotrope: qui è una sostanza materiale che permette di produrre una visione, lì è una visione che porta lo scrittore a generare la sostanza psicotropa (il linguaggio non è altro che questo, in fondo) che permette di produrre e riprodurre la visione che lo scrittore ha vissuto. È anche per questo che il suo potere è così duraturo, ed è per questo che il suo uso è così esteso. Abbiamo bisogno di queste visioni. I nostri corpi si nutrono della vita che anima tutto ciò che ci circonda. È per questo che siamo costretti a mangiare: viviamo solo includendo e metabolizzando questa vita al di fuori delle nostre anatomie. È per questo che abbiamo organi di senso: ci permettono di essere attraversati da questa vita: luce, suoni e rumori, asprezza, sapori, dolcezza nelle forme più disparate.
Ci sono porzioni di queste vite, tuttavia, che non possono essere integrate mangiando o utilizzando gli organi di senso. La scrittura è ciò che ci permette di continuare in altri modi ciò che facciamo mentre mangiamo e percepiamo il mondo: vivere tutta la vita che ci circonda e lasciarci attraversare. Produce un'intimità tra tutte le cose e tutti gli esseri viventi che precede l'ordine di prossimità costruito dalla nascita, dal nutrimento e dalla percezione. Produce continuità spirituale dove non c'è continuità diretta di un altro tipo. Tutti gli esseri, uno dentro l'altro, continuano a inventare modi per penetrarsi l'un l'altro, per vivere ciascuno la vita dell'altro, per diventare l'altro. E la vita di ciascuno di loro può così passare di corpo in corpo, da individuo a individuo, da specie a specie, da luogo a luogo, di volta in volta. La scrittura e la visione a cui dà accesso sono allo stesso tempo la genesi, l'evidenza e l'archivio di questa continuità. Non c'è niente di intellettuale. È un'iniezione di vita, nella sua sostanza pura, chimica, sensibile, visionaria: la vita concentrata in gocce d'inchiostro i cui poteri sono inesauribili, inarrestabili. Tutta la scrittura è solo lo stratagemma che la vita inventa per penetrarci, cambiarci per sempre e volare via altrove. Ogni scrittura permette alla vita di non appartenere mai a nessuno, di rimanere un eterna vagabonda.