Notte densa
Deve il mattino sempre ritornare?[1]
Dappertutto si respira la luce e la luce respira, vorrei riavvolgere il nastro notturno, tagliuzzarlo, impedire per sempre al sole di sorgere. Tutte le cose avrebbero allora occasione di riavvicinarsi nelle sere, coagulando lentamente e ricongiungendosi una volta per tutte nel corso dell’ora più buia. Inciampo muovendomi dal materasso al bagno, faccio cadere i ragionevolissimi occhiali, le lenti vanno in pezzi sotto i calzini sporchi. Da ora in avanti prendo senso e perdo l’aspetto. Al noto la dignità dell’ignoto, all’ordinario il misterioso, al finito l’infinito. Ai versi il compito di esibire al buio i risucchi della luce, di produrre il vero. Magia! Quel che io voglio, lo posso. Agli uomini nulla é impossibile, nello spazio notturno. Oh patria divina, in te ormeggia l’assoluto!
Starò sognando nella parola? Starò morendo, così sospeso? È in questa estasi che sei morta anche tu, Sophie? Sei sempre stata un’adolescente sacra. Mi innamorai di Cristo e quando pensai che nulla più avrei potuto amare, mi innamorai di te. Da quando hai smesso di vivere ed hai iniziato ad apparire, tutto al mondo manca. Tutti i transiti si sono fermati ed io non sono più riuscito a muovermi da un vertice all’altro del nostro triangolo sconsiderato. Sono rimasto incastrato, preda di un desiderio di cielo che si placa solo al buio. Lo vuoi ancora anche tu! Cristo, primo vertice; io, secondo vertice; tu, terzo vertice.
Alla fine del corridoio tu dormi, e la sapienza divina ti tiene tra le braccia. Le tue mani semiaperte mi sembrano percorse da piccoli spasmi che coincidono con il mio sbattere di palpebre ancora appiccicose da quel giorno in cui versavo amare lacrime, la mia speranza si dileguava dissolta in dolore, e io stavo solitario vicino all’arido tumulo, che nascondeva in angusto oscuro spazio la forma della mia vita – solitario, come non era mai stato nessuno, incalzato da un’angoscia indicibile – senza forse, non più che l’essenza stessa della miseria. Non posso proseguire o arretrare. Sono sospeso nel liquido amniotico del buio. Poi tutto si distende.
D’un tratto si spezza il cordone della nascita, il vincolo della luce. Si dilegua la magnificenza terrestre e il mio cordoglio con essa – confluisce la malinconia in un nuovo imperscrutabile mondo – tu estasi della notte, sopore del cielo ti posi su di me – la casa si solleva poco poco; sopra di essa aleggia il mio spirito sgravato e rigenerato. Io mi guardo. Nella nube di polvere che avvolge i resti della porta d’ingresso vedo i tuoi tratti trasfigurati, Sophie. Dai tuoi occhi spilla l’eternità. Non posso afferrarti le mani, sciogliere i miei polsi dalle manette diurne che ancora mi trattengono. Mi accascio su di te, non riesco a smettere di piangere.
Millenni dileguarono in lontananza, come uragani. Al suo collo piansi lacrime d’estasi per la nuova vita. – Fu il primo, unico sogno – e solo d’allora sentii eterna, inalterabile fede nel cielo della notte e nella sua luce, l’amata.
Vivo ora oltre l’inferno, le mie parole varcano tutte le porte. Trascino catene evangeliche che suonano sul pavimento il frastuono dei cieli. Con gli angeli godo del mio nuovo vagabondare, svanito è il desiderio dell’andar lontano, vogliamo tornare alla casa del padre. Oh Sophie! Tu vibri con me immersa in questo tempo nuovo, in cui non puoi più morire, ma solo guardare da lontano le nostre croci. Ed ora veglio -
sono Tuo e Mio –
la notte mi annunziasti come vita -
mi hai fatto uomo -
consuma con l'ardore
dell'anima il mio corpo,
perché lieve nell'aria
con te più strettamente io mi congiunga
e duri eterna
la notte nuziale. Ed eterna la veglia, perché ti ho sempre in ogni istante e sparito è il sonno.
Zur Welt habe ich den Entwurf gesucht – dieser Entwurf war mich selbst. Eppure tutto mi è ora lontano, io mi sono così lontano che ho perduto tutte le misure. Giace lontano il mondo, come sepolto in un profondo avello. Perdo sangue, taccio, godo. Cammino attraverso la notte, impantanato nell’eterno. Scomparsi gli orizzonti e le meteore, spenta l’ultima candela, rimango io. Lungo la scia notturna di senso, sento una eterna, immutabile fede nel cielo della notte.
Mi sento tutto incompiuto e tutto incompibile. Me ne torno a letto, riprendo a sudare, a tossire. Mi abbandono: 29 anni di carne per capire la morte. L’aria è troppo densa. Nessuno si accorge del mio andarmene. Vedo l’inferno un’ultima volta, vorrei eleggere a vita questo stato comatoso e soffocante.
Io vivo di giorno
Con fede e coraggio
E muoio le notti
In ardore del sacro.
Non posso più guardare, i miei occhi si chiudono, i miei polmoni collassano, di nuovo il buio, di nuovo la notte. Riesco a sentire tutte le cose. Mio fratello sta suonando il pianoforte per me.
Milano, 23 novembre 2020
[1] Tutti i corsivi sono tratti da NOVALIS, Inni alla Notte e Canti Spirituali. Traduzione di Roberto Fertonani, a cura di Virginia Cisotti, Mondadori, Milano 1982.