Ripensare l'abitare smart
«La grande ossessione che ha assillato il XIX secolo è stata, come noto, la storia: temi dello sviluppo o del blocco dello stesso, temi della crisi e del ciclo, temi dell’accumulazione del passato, grandi sovraccarichi di morti, il raffreddamento che minacciava il mondo. […] Forse, invece, quella attuale potrebbe invece essere considerata l’epoca dello spazio. Viviamo nell’epoca del simultaneo, nell’epoca della giustapposizione, nell’epoca del vicino e del lontano, del fianco a fianco, del disperso. Viviamo in un momento in cui il mondo si sperimenta, credo, già che come un grande percorso che si sviluppa nel tempo, come un reticolo che incrocia dei punti e che intreccia la sua matassa».[1]
L’essere umano da sempre inerisce allo spazio e al tempo e trova nello spazio e nel tempo le proprie coordinate costitutive. Il gesto dell’abitare per l’uomo è dunque connaturato alla sua essenza. Alessandra Lucaioli, in apertura de Ripensare l’abitare smart. Il contributo del paradigma della giustizia spaziale (Orthotes 2020), ci conduce nel suo orizzonte di riferimento, quello di uno spazio che assume ruolo attivo nei processi di formazione e trasformazione della realtà. Quello della giustizia spaziale, ravvisabile dall’intestazione del volume, è dunque il paradigma teorico applicato dall’autrice alle logiche delle città intelligenti, nelle quali l’istanza dello spazio assume la sua debita centralità.
Ora che si è introdotta la questione “città intelligenti”, o meglio, smart city, è di fondamentale importanza entrare nell’ottica di cosa s’intende propriamente con quest’espressione, evitando di inciampare in definizioni pericolose che demandano alla mera applicazione della tecnologia la risoluzione dei problemi delle città. In questo senso l’autrice muove la sua riflessione in primis sulla vaghezza di significato attribuita al termine smartness: non vi è una definizione univoca, ma vi è tuttavia una moltitudine di approcci al termine che complessivamente riescono a farci comprendere, nella sua complessità, la “questione smart cities”.
Un ruolo fondamentale, a monte del concetto di smartness lo hanno avuto i grandi colossi del digitale - IBM e Cisco - quando, agli inizi degli anni Novanta, fecero ricorso per primi in modo programmatico al termine smart. L’azione che fecero, in una logica di marketing dei propri prodotti e servizi, fu quella di creare una visione ideale di città imperniata sull’automazione e sulle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, le ICT, volte a migliorare il funzionamento delle città e ad abbattere i grandi problemi attuali di scala globale. Ad oggi questa visione ha lasciato il posto ad una definizione di smart city comprensiva delle politiche connesse al capitale umano, all’istruzione, allo sviluppo economico e alla governance e come queste possano essere migliorate per mezzo delle nuove tecnologie.
La riflessione dell’autrice indaga, oltre alla città smart in sé, anche il dialogo che le è stato cucito attorno. È rilevante come quest’ultimo abbia tutte le caratteristiche della narrazione: il paradigma urbano della città intelligente custodisce il futuro delle città. Un futuro che, se costruito in adesione al modello proposto, risulta intriso di progresso e di altissima qualità della vita inevitabilmente posto in contrapposizione con un presente obsoleto, poco incline all’innovazione e incapace di fronteggiare i problemi che attanagliano le città. La generalità del vocabolario che intreccia la matassa della storia è un’ ulteriore categoria su cui si può riflettere per comprendere quanto essa sia funzionale ad affascinare i futuri smart citizens e a guadagnare il loro consenso: «il luogo comune è in un certo modo un’arma del potere: ripentendo sfacciatamente certi temi, contribuisce a imprimere idee, valori, alibi che nella mente del pubblico finiscono come una vera “natura” mentale».[2] Si fa insidiosa dunque, la relazione tra la narrazione sulle smart cities e l’esercizio della politica, in un quadro dove la prima si dichiara acritica e non politica, ma è evidente come, oltre a perseguire la questione del bene comune/interesse pubblico, sia in grado di rimettere in gioco «questioni cruciali come l’appartenenza, l’identità sociale, la rappresentanza, la modalità dell’essere cittadini e il concetto stesso di cittadinanza e quindi la stessa democrazia».[3]
La vaghezza di significato attribuita al discorso sulle città intelligenti non è propria tuttavia della disciplina della progettazione, né tantomeno della progettazione urbana perché proprio a questa, il secondo termine dell’espressione “smart city” fa riferimento. Ecco che dunque Ripensare l’abitare smart promuove la riflessione sull’assetto spaziale, finora inibita dalla dimensione tecnologica. La Lucaioli ci offre un duplice percorso di considerazioni, quelle di metodo, a cui appartengono griglie, indicatori, classifiche, che rilevano/costruiscono la realtà urbana e ne incrementano la competitività, e ancor più rappresentazioni digitali, delle quali abbiamo possibilità immediata di fare esperienza, e quelle di contenuto, dove emerge la relazione tra tecnologia, spazialità e esseri umani e dove si fa urgente la comprensione del territorio, il quale nel mondo occidentale è sempre stato considerato appendice dell’urbano. Quest’opposizione, infatti è altrettanto falsa di quella che concepisse un’isola come limitata dall’acqua e da questa circoscritta: modo di pensare tipico di chi abita la terraferma e privo di senso per un pescatore, il cui incessante va e vieni dalla terra al mare usa la soglia fra gli elementi per creare, partendo da due domini all’apparenza incompatibili, un’unità necessaria. L’antagonismo tra città e campagna, che ha a lungo paralizzato il territorio, è anch’esso anzitutto una concezione cittadina, che si presenta, come la precedente, con l’evidenza di una figura iscritta sullo sfondo.[4]
L’indagine filosofica sviscerata all’interno dell’opera, vincitrice del premio SIFM 2019 come “migliore opera prima di filosofia morale”, si impegna a non porsi mai “là e altrove”, ma sempre in stretta correlazione con l’esperienza e con le complesse dinamiche della realtà in cui si è immersi. In questa prospettiva di resistenza verso chi relega il discorso filosofico ad un livello lontano dalla prassi, si fa fecondo il dialogo con l’impresa che voglia essere capace di progettazione strategica e innovazione sociale. La letteratura critica che ha indagato il paradigma della smart city l’ha più volte configurato come «un prodotto politico delle strategie competitive di un numero ristretto di aziende private operanti nel settore dell’high tech, che includono tanto la riorganizzazione interna della produzione quanto la promozione all’esterno di una logica di organizzazione territoriale basata sul profitto […]»,[5] tuttavia tale considerazione non è da ritenersi universalmente valida. L’autrice ci indirizza infatti verso una riflessione equilibrata che riconosce l’esistenza di alcune realtà capaci di coniugare un legittimo guadagno con l’intenzione di farlo derivare da una progettualità responsabile. In questa prospettiva la filosofia rappresenta uno strumento di cui ci si può avvalere per accompagnare la formazione, l’applicazione e lo sviluppo di conoscenze tecnologiche, sia in prospettiva di attivazione dei processi di innovazione, si di individuazione di eventuali esternalità negative che possono derivare da un prodotto.
Il lavoro pubblicato da Orthotes, con la moltitudine di traiettorie tracciate nell’indagine, offre sicuramente uno strumento efficace alla comprensione di quelle dinamiche del presente che riguardano intimamente l’autenticità del nostro abitare il mondo.
[1] M. Foucault, Spazi altri. I luoghi delle eterotropie, tr. it. T. Villani, Mimesis, Milano 2001, p. 19
[2] R. Barthes, Scritti. Società, testo, comunicazione, tr. it. M. Di Leo, S. Volpe, Einaudi, Torino 1998, p.223
[3] R.Masiero, Essere Smart. Dalla Smart City alla Smart Land, A. Bonomi, R. Masiero (cur.), Marsilio, Venezia 2014, p.112
[4] Cfr A. Corboz, Il territorio come palinsesto
[5] A. Di Bella, Smart City e geografie della mediazione aziendale, “Bollettino della società geografica italiana2 VIII (2015), p.519