Del Contemporaneo, ovvero: la razionalità del demente

Frame 01 di Viaggiatori della sera, Ugo Tognazzi, Italia-Spagna 1979.

Frame 01 di La Bête, Bertrand Bonello, Francia-Canada 2023.

Aristotele ci perdonerà se del suo sommo principio di non contraddizione ci burleremo un poco, affermando che ogni società è contemporaneamente razionale e irrazionale. La razionalità del mondo in cui viviamo sembra, nell’opinione di chi scrive, qualcosa di evidente al punto che non serve spendere parola alcuna per la sua dimostrazione; è sufficiente menzionare quanto spazio occupa negli affari umani il tentativo di dare ordine, senso e struttura alla propria e altrui vita. Smarcata la dimostrazione, indichiamo dove volgere lo sguardo: il fondamento dell’ordine e delle strutture in cui la vita si organizza.

Il sacro, fonte di legittimità delle società arcaiche, si è poco alla volta ritirato dall’orizzonte dell’attualità, lasciando un vuoto che oggi viene colmato dalla ragione attraverso la razionalità. Affinché una società possa dirsi legittima, almeno in occidente, deve organizzare la propria esistenza, i suoi meccanismi, i suoi ingranaggi e i suoi sistemi di collegamento in forza di un calcolo, di un ordine quasi geometrico. Senza dubbio, l’ordine oggettivo delle cose, risultato del dominio dell’uomo sull’uomo e dell’uomo sulla natura, genera una società che sostiene la propria struttura gerarchica mentre sfrutta sempre più efficacemente le risorse naturali e mentali e distribuisce su scala sempre più ampia alcuni dei comfort derivati da tale sfruttamento. Noi viviamo e moriamo in modo razionale e produttivo; siamo consapevoli che la distruzione è solo il prezzo del progresso, così come la morte è il prezzo della vita; sappiamo che abnegazione, rinuncia e fatica sono condizioni necessarie del piacere e della gioia futuri; che l’attività economica deve proseguire inarrestabile, e che le alternative sono mere utopie. Questa ideologia appartiene all’ordine (reso) naturale delle cose; è un requisito del regolare funzionamento razionale del nostro sistema. Tuttavia, il sistema vanifica il proprio proposito se questo consiste nel creare un’esistenza autenticamente umana e la sua razionalità, sotto questo punto di vista, è spietata e crudele perché assolutamente logica. Il sistema in cui viviamo è proprio della nostra realtà e non del pensiero in quanto tale, è dunque un prodotto storico che è da imputare a quella asettica visione scientifica del mondo che attraverso la tecnologia ha congiunto la ragione teorica alla ragione pratica. A partire da questo presupposto, la società può procedere alla razionalizzazione secondo tre aspetti: 1. l'organizzazione attraverso l’istituzione di un codice in cui il principio che regola e sorregge il suo fondo non è razionale di per sé; 2. l’organizzazione del tempo attraverso la divisione scientifica del lavoro; 3. la gestione analitica delle risorse attraverso cui si è potuta massimizzare l'efficienza in termini di sfruttamento tanto della natura che della psiche.

La ragione nel delimitare il suo altro, operando una distinzione definitoria ed escludente di ciò che valica il proprio confine, acquista un fragile orizzonte di significato poiché sin dall’inizio il negativo è insito nel positivo, l’inumano nell’umano, la schiavitù nella libertà. In fondo ad ogni ragione dunque si cela il delirio, l’irrazionale.

Oggi è chiaro che la ragione si dispiega attraverso la razionalizzazione del reale – in quanto a funzionalismo non c’è partita, la macchina batte tre a zero l’essere umano. Di qui la tendenza a trasformare e operare nel mondo attraverso l’analogia: l’organismo è una macchina di estrema complessità capace di funzionare molto bene ma costitutivamente imperfetta (mortale) e dunque votata al guasto; allo stesso modo la società è una macchina composta di numerosi ingranaggi che assolvono funzioni specifiche ma anche in questo caso non è possibile sfuggire al deterioramento. Ecco che il capitalismo non nomina semplicemente un certo rapporto di potere che tende ad istituire monopoli attraverso la concentrazione di ricchezze, ma una vera e propria visione del mondo: vengono più o meno implicitamente postulate un’idea del bene (il razionale), un’idea del male (il guasto) e la possibilità di trasformare il secondo nel primo (la razionalizzare del reale). Tutto è razionale nel sistema, salvo il sistema stesso. Un meccanismo di borsa, seppur parte di un sistema complesso e dunque caotico, è razionale e la sua comprensione è alla portata dell’intelligenza perché ne è un suo prodotto. A ben vedere però tale meccanismo, nel suo nucleo più essenziale, è delirante, assolutamente demente non solo perchè nega il concetto di uomo facendolo collassare nel concetto di macchina ma anche perché oblia completamente il senso del tempo (immaginando una possibile crescita infinita) e della natura (riducendola a oggetto di consumo). La paradossale meraviglia dei meccanismi di funzionamento del capitalismo è dovuta alla loro ambigua e pericolosa bellezza: contemporaneamente, essi sono assurdi, irrazionali e comunque funzionano, sono efficienti. Dunque solo all’interno del sistema è possibile giustificare il sistema stesso, perché la sua efficienza diviene motivo di fede. Come per la magia: funziona dunque credo. Ma forse questo stesso atto di credenza in qualche modo affetta a sua volta il sistema, rendendo vero anche il contrario: credo dunque funziona. Giunto a questo punto il sistema si autoregge e non resta che dimenticarsi della sua origine. Tutto filerebbe liscio se quell’origine di tanto in tanto non riemergesse portando con sé una verità: in fondo ad ogni ragione si cela l’irrazionale e questo non può essere veramente rimosso. 

Frame 02, Viaggiatori della sera, Ugo Tognazzi, Italia-Spagna 1979.

Frame 03 Viaggiatori della sera, Ugo Tognazzi, Italia-Spagna 1979.

Ugo Tognazzi mostra di aver ben chiara la contraddizione che viviamo e nella sua pellicola del 1979, Viaggiatori della sera, mette in scena proprio questo movimento di soffocamento e riemersione dell’irrazionale che caratterizza sia l’individuo che la collettività. Il film è ambientato in un futuro prossimo in cui l’umanità ha trovato soluzione alla questione del sovrappopolamento attraverso la creazione di una società organizzata, funzionale e alienata in cui il superfluo non è tollerato. Vita e morte sono semplici questioni burocratiche: raggiunto il quarantanovesimo anno d’età, uomini e donne sono prima esiliati in una vacanza forzata e poi accompagnati verso la cessazione della loro vita. La tecnologizzazione della società, che ha saturato questo futuro, si configura e giustifica sul mito dell’efficienza relegando lo spazio della vita degli esseri umani a quello di funzione in un sistema ben ordinato. Risultare inefficienti o inutili, in un tale sistema, significa essere un rifiuto che deve essere espulso al fine di mantenere la salute dell’intero organismo. La forza del film è tutta concentrata nella contrapposizione dualistica tra la catena che collega funzione, efficienza ed esistenza e la sua controparte data dal legame tra superfluo, irrazionale e desiderio. Questa seconda configurazione è completamente assente nella società ordinata secondo i principi di ragione e non produce significato nella gioventù cresciuta all’interno di tale sistema, ma è ciò che lega la generazione precedente, nata prima di questo tipo di organizzazione e quindi immune alla forma di dominio dei corpi e delle coscienze che caratterizza quel presente. Lo spettatore si trova così di fronte ad un mondo che pare invertito nelle sue coordinate più generali dove i giovani hanno razionalizzato a tal punto l'esistenza da essere divenuti incapaci di relazioni umane con i loro simili - esempio chiarificatore in questo senso è il loro approccio asettico all’erotismo. Al contrario, gli “anziani”, nonostante siano rinchiusi nel villaggio vacanze vigilato dall’Esercito della Salute Pubblica, sembrano inclini godersi la vita, nonostante la rabbia e la nostalgia degli esiliati, passando le giornate al mare o in piscina e organizzando attività sessuali promiscue di vario genere fino a quando non vincono il Grande Gioco, il cui premio è una crociera da cui nessuno fa ritorno. Questa società ha certo risolto il problema del sovrappopolamento ma ha generato un contesto in cui risulta assente lo spazio per l’essere umano e le sue prerogative: il residuo personale è stato evacuato come prodotto di scarto inutilizzabile di una società che desidera essere perfetta e dunque inumana. 

Frame 02, La Bête, Bertrand Bonello, Francia-Canada 2023

Frame 03, La Bête, Bertrand Bonello, Francia-Canada 2023

Sembra allora questo lo scopo ultimo della razionalizzazione radicale all’interno della quale noi stessi viviamo: svuotare l’essere umano per renderlo una funzione, e quindi una macchina. Proprio come accade in La bête, il recente lungometraggio di Bertrand Bonello del 2023, in cui la protagonista (Léa Seydoux) deve scegliere se sottoporsi a un trattamento che le indurrà una sorta di artificiale atarassia epicurea, un’imperturbabilità dell’anima tale per cui è finalmente possibile avvicinarsi alla quiete interiore di una macchina con il fine di massimizzare i propri risultati sul lavoro. L’alternativa è restare legata alle proprie emozioni e quindi alla propria imperfetta umanità. In questo 2044, futuro imminente e del tutto familiare, la società umana è amministrata dall’intelligenza artificiale che cura il guasto insito nell’umano attraverso questo processo di depurazione del Dna da ricordi di vite precedenti, traumi, eccitamenti e da tutto ciò che impedisce di essere pienamente funzionale e performativo. Un futuro dal sapore quasi cronenberghiano dove le macchine hanno largamente sostituito gli esseri umani, generando una tasso di disoccupazione del 67% su scala mondiale. In questo contesto diventa allora necessario, per avere un lavoro o migliorare il proprio status sociale, concorrere con le macchine e la loro efficienza: le emozioni e gli umori sono solo un peso di cui ci si deve liberare per raggiungere finalmente uno stato in cui spirito e corpo possano raggiungere la tanto agognata imperturbabilità. Come nel film di Tognazzi, anche qui il desiderio in quanto potenza irrazionale è il reale nucleo del film. 

Bestia contro macchina, disfunzione contro efficienza. 

Due film per mettere meglio a fuoco la contraddizione che ci abita. La disfunzione, legata alla dimensione emotiva, convive con la reificazione, connessa alla dimensione razionale: un dualismo insanabile dove la ricerca di perfezione scade in una volontà di impotenza che trasforma l’essere umano in un meccanismo utile al perdurare di un sistema. La bestia, il nostro lato più recondito, spesso mostruoso, ci si presenta dunque come ciò che dovremmo difendere, essendo l’unica linea di fuga che può condurci altrove alimentando la finzione (reale motore del senso e dell’amore). La bestia è ciò che di più sgradevole accade in noi e nel vivere ma è veramente auspicabile tentare di soffocarla e per aggiustare l’anomalia che essa rappresenta? Così facendo ci incamminiamo verso l’inumano, verso un mondo di bambole e macchine inerti che, incapaci di vivere, sacrificano la vita sull’altare di una presunta perfezione eterna. 

Frame 04, La Bête, Bertrand Bonello, Francia-Canada 2023. (Upscaled)

Riccardo Lazzarato

Nato a Torino, si laurea in filosofia con una tesi sul concetto di immagine. La sua ricerca esplora le connessioni tra filosofia, tecnologia e cultura audiovisiva nel panorama dell’estetica contemporanea.

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L’esercizio del male