Here - Cos'è un'inquadratura?
Fotogramma tratto da Here, R. Zemeckis, USA, 2024.
Il quadro in cui mi trovavo era beninteso impossibile da riempire se ci si limitava ad evocare i miliardi di racconti in procinto di svolgersi… I miliardi di frasi dette, trasmesse, e fugacemente operanti entro il processo…
Philippe Sollers, Numeri
Here, il capolavoro fumettistico di Richard McGuire, si configura nelle sue versioni (rispettivamente pubblicate nel 1989 e nel 2014, intervallate da un dimenticato rimaneggiamento nel 2000) come un saggio grafico sulle potenzialità del fumetto. Un dispositivo atto a indagarne, e dimostrarne, le capacità di impaginare temporalità multiple e intrecciate, scompaginando la narratività unica e lineare cui siamo abituati. Sull’operazione di McGuire, tanto feconda di riflessioni quanto lucidamente autoevidente, si è già profusamente scritto. E, in fin dei conti, basta leggere, fare esperienza di quel geniale dispositivo, la cui operatività è cristallina, per provare la sua portata teorica. Non serve aggiungere altro.
Immagine tratta da R. McGuire, Qui, trad. it. S. Piccolo, Rizzoli Lizard, Milano 2015.
Lo stesso vale per Here di Zemeckis (2024). Potremmo sprofondare nella rizomatica meta/intertestuale, nella mise en abyme, nella tessitura di riferimenti storico-culturali. O, più arditamente, ci si potrebbe spingere a una valutazione estetica. Ma tutti questi non sono che aspetti – più che secondari – collaterali. La potenza del lungometraggio Here si enuclea nella messa a nudo del qui e ora cinematografico: l’inquadratura. Trasponendo l’opera di McGuire – o, meglio, riattuandone l’operazione – Zemeckis ci costringe a mettere in dubbio una delle unità fondative della narratologia (potremmo parlare di semiotica?) audiovisiva.
Cos’è un’inquadratura? Un blocco di spazio-tempo, sottratto all’estensività irriducibile di un flusso che lo trapassa da ogni poro (prima, dopo, oltre). Inquadrare significa illuderci di possedere, momentaneamente, quanto il nostro sguardo (o lo sguardo altrui, per noi) delimita. Ma c’è sempre un fuori campo, un fuori tempo, ad assediare il quadro. Se diamo credito al blocco spazio-temporale dell’inquadratura è solo grazie alla complicità di una rimozione, e di una predisposizione assiologica: il qui e ora vale più di quanto lo oltrepassa, che possiamo quindi scartare.
Ecco, la specificità di Here (inteso ora come dispositivo trans-temporale, senza distinguere tra gli autori-attuatori McGuire e Zemeckis) è che non scarta un eccesso, ma che si costituisce di eccessi. Non è minacciato da un oltrepassamento, ma è un’intessitura di trapassamenti, nell’impossibilità di stabilire un “here” (temporalmente sempre già altrove), di saturare uno spazio eroso dai suoi fantasmi. Attraverso le formule di McGuire, Zemeckis evoca l’altrove obliato dall’assiologia del quadro. Quello che non è più (qui), quello che non è (più) qui, non è meno presente del presente. E, viceversa, il presente non è meno labile e illusorio di quanto lo infesta.
Non viviamo che in un tracciato, un recinto idiota pronto a essere divorato dall’oscurità che lo circonda. E questo buio oltre la siepe - luogo di una rimozione costitutiva dell’immagine, sua miniera - che Zemeckis ci conduce faticosamente a intravedere.
Fotogramma tratto da Here, R. Zemeckis, USA, 2024.