Strategia del ragno
Athos Magnani giunge alla stazione di Tara, una cittadina della Bassa padana, scomodato da una lettera dell’amante dell’omonimo padre, eroe antifascista, ucciso a teatro per mano di un assassino che non ha ancora scontato la sua colpa. All’incontro con Draifa, che lo implora di stanare l’omicida, Athos espone le sue intenzioni di volersene andare il più presto possibile, montando sul primo treno. Eppure, così non avverrà. Il giovane Magnani, sullo schermo Giulio Brogi nei panni e del padre e del figlio, rimane coinvolto a poco a poco nei racconti degli affetti che ripercorrono la storia e le circostanze del delitto. Strategia del ragno, lungometraggio del 1970 di Bertolucci, segue le indagini del figlio e il suo progressivo invischiarsi nel groviglio di vicende provinciali, «labirinti circolari» da cui «lo salva una curiosa scoperta che poi l'inabissa in altri labirinti ancor più inestricabili ed eterogenei» (J. L. Borges, Tema del traditore e dell’eroe): il padre, traditore tra i cospiratori, confessa di aver fatto trapelare in forma anonima informazioni sull’attentato da loro pianificato, firmando così la sua condanna a morte. Tuttavia, al fine di ravvivare lo spirito ribelle dei suoi concittadini nell'opposizione al regime fascista – piangere un amato eroe unisce, scoprire un traditore divide – mette in scena una morte drammatica che lo consacrerà martire.
Eppure, un ultimo tassello andrebbe aggiunto. Nel racconto di Borges Tema del traditore e dell’eroe, da cui è tratta la sceneggiatura del film, Ryan-Athos, venuto a conoscenza delle ultime parole della vittima, alcuni passi recitati di Shakespeare, «sospetta che l’autore li abbia intercalati affinché qualcuno, in futuro, scoprisse la verità. Capisce che anche lui fa parte della trama [...]. Al termine di tenaci meditazioni, decide di non parlare della sua scoperta» (J. L. Borges, Tema del traditore e dell’eroe).
Il protagonista si muove nell’insidiosa trama orchestrata dal padre, i cui fili viscosi sono tesi per attirarlo nei meandri del suo piano, mirato a rivelargli una verità ormai inconfessabile. Alla stazione, luogo da cui la storia ha avuto inizio, i binari sono ora infestati dalla vegetazione spontanea, come se non fossero stati percorsi da tempo, mentre una voce registrata annuncia il ritardo del treno per Parma. L’attesa della partenza, forse mai riuscita, evoca la trappola predisposta dal padre e la disillusione di non poter più liberarsi una volta catturato.
L’immaginario labirintico costruito da Borges e Bertolucci è un modo di accedere per consonanza a sperimentazioni dell’architettura contemporanea che si confrontano su più piani con il senso della rete, estetico e programmatico, attraverso premeditati sotterfugi progettuali e la manipolazione di ciò che si ritiene essere familiare e domestico.
In Flesh: architectural probes, Elizabeth Diller e Ricardo Scofidio insistono sulla furtività (traduzione italiana dell’originale stealth, ovvero non localizzabile dai radar) come elemento per un’architettura del dissenso: «troppo spesso l'architettura assume un semplice ruolo regolatore, in collusione con il sistema che la implica. […] Un'architettura critica non ha bisogno di fare affidamento sulla cancellazione della familiarità, al contrario, potrebbe sfruttare la familiarità per guadagnarsi il benvenuto nello status quo e poi diventare insidiosa. Forse un’architettura dissidente oggi potrebbe essere pensata come un’architettura di intrappolamento, caratterizzata dalla furtività. Potrebbe agire sia sui corpi costruiti che sullo spazio, deformando le regole che conosce fin troppo bene».
L'architettura di intrappolamento, formulata dai due partner a metà degli anni Novanta, sta nel mezzo di quel dicotomico dilemma sollevato da Bernard Tschumi in Disgiunzioni che ha caratterizzato l'architettura della fine dello scorso secolo: «l'esperienza legata all'architettura è qualcosa destinato a defamiliarizzare [...] oppure, al contrario mira ad essere confortante, heimlich, domestica – qualcosa di protettivo?». Se Diller e Scofidio intendono dunque sfruttare il carattere familiare dell'architettura per poi renderla insidiosa dall'interno, R&Sie(n) – si legge hérésie – inverte l'ordine delle apparizioni.
Spidernethewood è una vera e propria trappola che avvolge il corpo familiare della casa, una residenza estiva programmaticamente stealth. Realizzata nel 2007 a Nîmes dagli architetti François Roche, Stéphanie Lavaux, Jean Navarro, insieme a Nicolas Green, la rete che si percepisce dall’esterno si rivela essere in realtà un confine frammentato di un’abitazione isolata di 400 m2 su due piani che, con il suo innesto, crea un diradamento nella foresta tutt’intorno. La leggendaria «casa-ragnatela» viene descritta nel report dell’autore sci-fi Bruce Sterling mentre si immagina di rintracciarne le tracce ormai perdute nella selva, ipotizzando le verosimili sembianze che avrebbe assunto dopo circa trent’anni dalla sua costruzione: «i robusti pali erano mangiati dal muschio, i loro tiranti erano ricoperti di rampicanti e gli alberi del sito erano diventati enormi. Dato che la rete di plastica era integrata nella foresta, la casa-ragnatela era tutta archi parabolici e cedimenti deliranti. Molto macchiata da anni di fogliame caduto, la struttura aveva l’aspetto maculato del camouflage della foresta [letteralmente forest camou]. Un esercito avrebbe potuto passarci davanti senza vedere nulla». L’ormai ex proprietario della casa è un certo Novalis Nico, il cosiddetto ragno di Ginevra, un ricchissimo speculatore valutario svizzero che, rintanato nella sua abitazione-rete, ha operato in borsa attraverso sistemi di trading automatizzati fino alla sua morte, passata inosservata per quattro o cinque lunghi anni.
Dal corpo dell’edificio bianco e scatolare si diramano dei percorsi esterni, in alcuni tratti angusti, in altri più spaziosi, i cui confini sono delimitati dalla rete, una maglia di propilene fissata su strutture di metallo di altezze ed angolazioni variabili che avvolge gli alberi della foresta. Quest’ultimi, congestionati, si fanno a pena spazio verso la luce del sole. Il tema del ragno nell’opera di R&Sie(n) esprime gli aspetti inquietanti e pericolosi della natura che, tutt’altro che addomesticata e prevedibile, trae dal proprio mondo elementi in grado di risvegliare le nostre più intime fobie. Nella serie di fotografie Growing Plants (2008) è possibile vedere il progetto con gli alberi ormai cresciuti: la casa di villeggiatura si mimetizza tra i rami che la sovrastano, restando in attesa dell’estate che rinvigorisce le foglie e consente di godere del suo giardino nel clima torrido del sud della Francia.
Un’altra tipologia di rete, utilizzata come materiale da costruzione, è ravvisabile in Shearing, una casa mimetica nel paesaggio boschivo di Sommiéres. Lo storytelling dietro quest’opera riprende una favola di tradizione orale, rovesciandone l’insegnamento: «è la storia della favola dei tre porcellini quando l’ultimo stava costruendo la struttura più fragile, la più temporanea, per evitare di perdere tempo durante la costruzione. Mentre gli altri lavoravano per ottenere legna e mattoni, il terzo porcellino ballava e si divertiva a rovinare il suo programma in modo pigro (a detta degli altri). Ma quando il lupo arrivò, come sempre nella favola, e soffiò sulla casa di stoffa… Immaginate come avrebbe dovuto stupirsi della permanenza del suo aspetto fragile e temporaneo».
Analogamente al caso precedente, anche Shearing è una costruzione furtiva, una tenda necessariamente mimetica per aggirare i vincoli paesaggistici che insistono sul lotto a tutela di una torre medievale. La strategia di Shearing consiste proprio nell’elusione della norma. La struttura in rete, questa volta di plastica verde, del tipo utilizzato dall’industria agricola, è stata autorizzata grazie al suo aspetto deteriorabile, classificandosi per i regolamenti come un’installazione artistica sviluppata in collaborazione con i clienti. Solo dopo aver ottenuto l’autorizzazione è stato possibile edificare la casa vera e propria, all’interno dello spazio delimitato dalla rete, che così ha evitato la demolizione. Inoltre, il preventivo dei costi complessivi includeva già il pagamento di una multa, necessaria per rendere il progetto completamente legale.
Più che nella rete, la tela del ragno si materializza in quest’ultimo premeditato escamotage.
Queste due sperimentazioni, non isolate, adottano la strategia del ragno come mutuazione di un’urgenza, quella di un ente privo di dignità ontologica, ridotto ad essere calpestato con smorfie di ribrezzo. Il suo corpo informe, per la definizione che ne dà George Bataille in Document – «affermare che l’universo non rassomiglia a niente e non è che informe equivale a dire che l’universo è qualcosa come un ragno o uno sputo» – possiede ancora un valore d’uso, potenzialmente dissidente, infiltrandosi mimeticamente nel contesto della pratica dell’architettura contemporanea.